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Tra benessere dichiarato e ansia quotidiana: il ritratto dei ragazzi italiani

Chi vuole capire in che direzione sta andando l’Italia dovrebbe partire dagli adolescenti. Non perché vivano in un universo a parte, ma perché nelle loro giornate si concentrano – senza schermi di protezione – tensioni che attraversano il Paese intero. La XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio di Save the Children ne offre una prova nitida: ragazzi che si dichiarano soddisfatti ma mostrano livelli bassi di benessere mentale; connessi in modo continuo ma più soli; immersi nelle piattaforme digitali e, allo stesso tempo, privi di alternative nella vita reale; legati ai genitori ma segnati da conflitti difficili da gestire; ragazze che brillano a scuola ma faticano a tenere insieme corpo, immagine e pressione sociale; un ricorso crescente all’intelligenza artificiale nei momenti di ansia o incertezza.

Benessere dichiarato vs benessere reale

La prima contraddizione è la più evidente. Alla domanda su come si sentano, il 60% degli adolescenti dice di essere soddisfatto o molto soddisfatto di sé, dato confermato sia dal sondaggio realizzato per l’Atlante sia dalle tavole Ocse Pisa riportate nel rapporto. Anche l’indice di soddisfazione dei 15enni risulta relativamente alto, nonostante tutto. Ma basta spostarsi sugli indicatori clinici per vedere un panorama diverso. Secondo i dati riportati nell’Atlante, solo il 49,6% dei ragazzi presenta un buon equilibrio psicologico, contro una media europea che sfiora il 59%. Un valore quasi identico emerge dal monitoraggio Espad 2024: “Il 49,2% mostra un buon equilibrio mentale, rispetto al 58,7% europeo”.

La forbice si allarga quando entra in gioco il genere. Il 66,4% dei maschi mostra un equilibrio mentale soddisfacente, contro il 34,5% delle ragazze, lo scarto più ampio registrato tra i Paesi europei considerati. Nessun altro Paese presenta una distanza simile. Le ragazze vivono un carico più pesante, segnato da ansia, aspettative scolastiche elevate, percezione negativa del corpo e pressione estetica crescente.

La coesistenza tra soddisfazione dichiarata e fragilità oggettiva non è un segno di incoerenza giovanile. Indica qualcosa di più complesso: l’assenza di strumenti per nominare stati emotivi che non rientrano nelle categorie con cui gli adulti sono abituati a leggere il malessere. Dire “sto bene” può essere un tentativo di tenere insieme un equilibrio che scricchiola, più che una reale fotografia del proprio mondo interno.

Il dato sull’uso di psicofarmaci senza prescrizione conferma la difficoltà. Quasi un adolescente su otto dichiara di averne fatto uso nell’ultimo anno, con percentuali più alte tra le ragazze (16,3%). È il segnale di un bisogno di sollievo immediato che non trova ascolto adeguato. L’impressione è quella di una generazione che prova a gestire da sola un carico emotivo che richiederebbe attenzioni strutturate.

Iperconnessione vs isolamento

La seconda frattura riguarda la vita digitale. I dati raccolti mostrano un rapporto continuo con lo smartphone. Il 40% degli adolescenti guarda spesso il cellulare anche in presenza di altre persone, mentre il 28% dice di sentirsi nervoso senza telefono, una quota che sale al 37% tra le ragazze. Nella fascia più giovane, quella dei 15enni, la connessione diventa quasi una condizione di base: il 18-30% è in contatto online costante con gli amici, e dal 50% al 59% usa internet per fare nuove amicizie. Il digitale è un prolungamento dell’esperienza relazionale quotidiana, non un’alternativa.

Eppure, questa connessione non si traduce in protezione. Il rapporto indica che il 47,1% dei 15-19enni ha subito cyberbullismo, un aumento costante dal 2018. Le forme di violenza variano: insulti, diffusione di immagini, body shaming, esclusioni improvvise dai gruppi. Anche il ghosting, riportato dal 30% dei ragazzi, è un indicatore della fragilità dei legami costruiti online.

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L’analisi del social listening 2025 – riportata nell’Atlante – rende ancora più chiaro il contesto. Ai ragazzi non è stato chiesto nulla: sono state ascoltate le loro conversazioni spontanee sui social. Le parole che tornano sono sempre le stesse: isolamento, ansia, hikikomori, Fomo, solitudine, violenza digitale. Non provengono da questionari o interviste guidate, ma dal linguaggio che i ragazzi usano quando parlano tra loro, spesso senza sapere di essere osservati. Sono indicatori precisi dello stato emotivo che accompagna la vita online. L’isolamento emerge come esperienza quotidiana, non eccezionale. L’hikikomori appare normalizzato nelle discussioni, come una possibilità concreta. La Fomo – la paura di essere esclusi – entra nelle scelte di relazione, nello studio, nella gestione del tempo.

Nel rapporto, una frase sintetizza bene il nodo: “Internet diventa spesso il megafono – non la causa – del disagio.” La rete amplifica ciò che già esiste: problemi familiari, insicurezze personali, tensioni scolastiche, difficoltà nelle relazioni dirette.

Critica allo schermo vs assenza di alternative reali

La distanza tra ciò che gli adolescenti potrebbero fare fuori casa e ciò che effettivamente fanno è larga. Le attività culturali mostrano un calo evidente: solo il 50,1% dei 13–17enni ha visitato musei o mostre nel 2023–24, con valori ancora più bassi per teatro, concerti, monumenti. Una parte consistente degli intervistati dichiara che i costi sono un ostacolo reale. Anche il cinema, uno degli ultimi luoghi accessibili e percepiti come sicuri, registra una battuta d’arresto: il 21,2% dei ragazzi non è mai entrato in sala nel 2024, con punte del 25% al Nord. Le ragioni sono note: biglietti più alti, trasporti insufficienti, orari poco compatibili con la vita familiare.

La pratica sportiva segue lo stesso andamento. Il 18,1% degli adolescenti non svolge alcuna attività fisica, percentuale che sale al 29,2% nel Mezzogiorno. L’offerta sportiva non è omogenea: impianti distribuiti in modo irregolare, quote d’iscrizione variabili, orari che non sempre si conciliano con la scuola. Anche la mobilità incide sulle possibilità di incontro. Tra i 15 e i 24 anni, meno della metà (47,6%) ha fatto almeno un viaggio di una notte nell’ultimo anno, un dato molto distante dagli altri Paesi europei analizzati: Spagna all’81%, Paesi Bassi al 90%.

Questi numeri non raccontano un disinteresse per la vita culturale o sportiva. Mostrano semplicemente che l’offerta offline non è alla portata di tutti, né per costi né per accessibilità. La presenza stabile dello schermo nelle loro giornate nasce anche da qui: il fuori casa non offre la stessa continuità.

Relazioni familiari dichiarate positive vs conflitti profondi

Un altro punto in cui gli adolescenti sembrano costruire un equilibrio instabile riguarda il rapporto con i genitori. Il 78% dei ragazzi si dice soddisfatto o molto soddisfatto della relazione familiare, ma il 31% parla di conflitti seri. Questo doppio dato non annulla una delle due verità: le mantiene entrambe. La famiglia resta un riferimento importante, ma è anche il luogo in cui si concentrano tensioni difficili da gestire in un’età in cui tutto cambia rapidamente.

Nel rapporto, le conversazioni raccolte tra studenti e operatori mostrano paure che gli adulti non sempre vedono: timore di deludere, ansia per i voti, difficoltà nel comunicare emozioni complesse. Molti ragazzi descrivono famiglie presenti sul piano pratico ma assenti su quello emotivo.

Ed è in questo spazio che entra l’intelligenza artificiale: il 41,8% degli adolescenti vi si affida quando è triste, solo o ansioso mentre il 42% per orientarsi in scelte considerate importanti. È un modo per spostare altrove domande che non trovano una risposta immediata nel mondo delle relazioni dirette. L’Ai, in altre parole, non ruba spazio agli adulti: copre un vuoto.

A questa distanza si somma quella che i ragazzi vivono negli ambienti digitali dove passano gran parte del tempo. La vulnerabilità che non trova risposta offline riappare online, spesso amplificata. La crescita del cyberbullismo tra il 2018 e il 2024 non riguarda le piattaforme in sé, ma il contesto in cui vengono usate. L’Atlante mostra come l’intreccio tra vulnerabilità personale, minore presenza di adulti competenti nel digitale e scarse alternative nella vita offline renda la rete il luogo principale in cui si concentrano tensioni, esposizioni e forme di aggressione. Non un ambiente neutrale, ma quello a cui si arriva quando gli altri spazi non bastano.

In questo scenario entra anche l’intelligenza artificiale, che gli adolescenti non percepiscono come uno strumento tecnico ma come un interlocutore immediato. Il dato più netto è la distanza tra generazioni: il 92,5% degli adolescenti utilizza l’Ai, contro il 46,7% degli adulti. Una distanza che produce un disallineamento culturale più che tecnologico.

Ragazze brillanti vs ragazze esauste

La frattura più marcata dell’intero rapporto riguarda il genere. Le ragazze ottengono risultati scolastici nettamente migliori, mostrano maturità precoce e una partecipazione più alta alle attività educative. Eppure, sul piano del benessere psicologico, sono loro a occupare la parte più fragile dell’Atlante. Il 66,4% dei maschi, infatti, è in buon equilibrio mentale, contro il 34,5% delle femmine. È il gap più ampio d’Europa. Il rapporto sottolinea come, negli ultimi anni, la pressione estetica, l’iper-esposizione sui social, il body shaming e le forme di controllo digitale abbiano un impatto sproporzionato sulle adolescenti.

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Il peso dell’ansia è confermato dai dati sulle richieste di aiuto psicologico: l’87% riguarda episodi di ansia. Nei racconti raccolti dagli operatori, le ragazze descrivono un clima in cui corpo, immagine e rendimento scolastico diventano parte di una stessa aspettativa, difficile da sostenere. Il rapporto dedica ampio spazio alle forme di aggressione digitale rivolte alle adolescenti. Il cyberbullismo prende più spesso la forma di attacchi personali sulla fisicità o sulla reputazione. Le dinamiche di gruppo online amplificano il giudizio, trasformando i social in ambienti dove l’identità femminile viene osservata con una costanza intrusiva.

La distanza nelle relazioni familiari è un altro elemento da non sottovalutare. Mentre l’84% dei ragazzi si dice soddisfatto del rapporto con i genitori, tra le ragazze la quota scende al 73%. Uno scarto che coincide con l’aumento dei conflitti, dei silenzi e della difficoltà a condividere ciò che non funziona. Il risultato è una generazione di ragazze che performa meglio in quasi tutti gli indicatori formativi, ma che spesso arriva a farlo consumando più energie e più tempo, in un contesto che non restituisce loro la stessa protezione.

“Non un’unica adolescenza, ma molte adolescenze”

Nelle pagine finali dell’Atlante, Raffaela Milano, Direttrice Ricerche Save the Children Italia, riporta al centro un punto che attraversa l’intero rapporto: l’immagine degli adolescenti italiani è spesso costruita dall’esterno, filtrata da stereotipi o da aspettative distorte. La scelta di dedicare l’edizione di quest’anno a loro – scrive – nasce proprio dal rischio di lasciarli imprigionati in etichette che non li rappresentano:
“Quando abbiamo scelto di dedicare questo Atlante agli adolescenti eravamo ben consapevoli dei rischi: non aggiungere nulla di nuovo, non poter eguagliare l’impatto emotivo di una serie Netflix o, peggio, scivolare nei soliti stereotipi”.

La prospettiva cambia quando si passa dall’osservazione dall’alto all’ascolto diretto. Milano ricorda che le “adolescenze”, al plurale, emerse dal lavoro sul campo non sono riducibili a una categoria unitaria:
“Le pagine dell’Atlante […] non ci parlano di un’unica adolescenza, ma delle tante, diverse, adolescenze vissute nel nostro Paese”. La complessità che ne deriva non è un limite: è la condizione di partenza per capire cosa oggi significa avere tra i 14 e i 19 anni.

Uno dei passaggi più forti della sua conclusione riguarda l’eredità della pandemia. Gli adolescenti di oggi – ricorda – sono gli stessi che hanno passato 341 giorni di chiusura delle scuole, il lockdown più lungo d’Europa. Esperienza che ha inciso su socialità, apprendimento, equilibrio emotivo. Milano lo definisce un danno collettivo che non ha ancora trovato un vero riconoscimento: “Mentre si discuteva dei ristori economici per le imprese, noi parlavamo della necessità di un ‘risarcimento generazionale’”.

Le richieste che emergono dagli adolescenti – spazi, fiducia, opportunità – non vengono presentate come desideri astratti, ma come una risposta a ciò che è mancato. Milano parla di scuole che dovrebbero assumere tra le funzioni costitutive anche il benessere emotivo, di enti locali chiamati a offrire luoghi autogestiti, di politiche giovanili costruite con i ragazzi, non intorno a loro. È un’agenda che rovescia il punto di vista tradizionale: non adattare i giovani alle strutture esistenti, ma ripensare le strutture per renderle accessibili.

L’ultimo passaggio è quello che ribalta l’immagine pubblica degli adolescenti, spesso descritti come disinteressati o distratti. Milano ricorda che, negli ultimi anni, sono stati proprio i più giovani a scendere in strada per Gaza, come erano stati i primi a cogliere la portata della crisi climatica.
“Sia pure “fragile” o “ansiosa”, questa generazione è in grado di anticipare questioni che riguardano tutti. La prima cosa da fare è dunque mettersi in ascolto”.

L’Atlante chiude qui: con l’idea che la fragilità non esclude la lucidità, e che la capacità dei giovani di leggere il presente meriti spazio, non interpretazioni dall’esterno.

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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